La sveglia suona. Sono le 4:30. Il tanto aspettato e temuto giorno del Passo é arrivato.
Ho dormito incredibilmente bene nel mio sacco a pelo, sotto due pesanti coperte. Non ho proprio voglia di alzarmi. Alzarsi significa freddo. Significa mettere gli scarponi per uscire ed andare alla latrina congelata dove troverò le produzioni mattutine di chi saggiamente si é alzato prima di me. Alzarsi significa bere acqua gelida, tanta, per aiutare il corpo a sopportare i 5416m che dovrei raggiungere in mattinata.
Miriam, la mia compagna di stanza, e le nostre sveglie che non smettono di suonare, mi convincono a fare il primo passo della giornata. Palesemente, il più difficile.
Bevo. Latrina. Bevo. Arrotolo il sacco a pelo. Chiudo lo zaino. Prendo i miei pali. Colazione. Sempre sia benedetto quel thé caldo.
Rifocillate, ma non poi così cariche di energia, tranquille e sorridenti, ma con un po’ briciolo di preoccupazione. Non sappiamo con certezza se, al nostro corpo, quelle poche molecole di ossigeno lassù basteranno. Sarebbe un peccato dover fare marcia indietro ma la meta ha già ceduto molta della sua importanza al tragitto: nulla potrebbe scalfire la magia degli ultimi 9 giorni di cammino.
Siamo pronte. Inforchiamo gli zaini, impugnamo i pali e accendiamo la torcia che ho, bene o male, legato alla mia sciarpa. Siamo delle escursioniste poco tecniche, ed é forse per questo che, con Miriam, ci siamo trovate bene nel condividere dei tratti di cammino. I nostri zaini sono leggeri e abbiamo preferito lasciare spazio per un libro invece che per l’ultimo modello di borraccia autofiltrante o delle ghette da neve. Il Circuito sale in alto, ma il cammino che ci porta al Passo, così come quello che ci farà riscendere, non é tecnico. Come noi.
Si comincia con una salita, ripida. Passare dai 4500m e 4900m non é una passeggiata. Il cuore si fa sentire. Coordino il passo al suo ritmo e faccio pause frequenti per bere l’acqua che sta cominciando a ghiacciare nella bottiglia. Mentre cammino ho occhi solo per il mio piede che avanza davanti all’altro, durante le pause ho occhi solo per le stelle e il cielo che comincia lentamente a prendere i colori del mattino.
La carovana di lampade frontali avanza lentamente, in silenzio. Risparmiamo aria. L’unico suono che sento sono l’incontro tra il terreno e i miei pali, i miei passi, il respiro e il cuore.
Arriviamo all’High Camp con il sole che illumina le vette più alte.
La parte di salita più dura dovrebbe essere dietro di noi. Ce la siamo cavata bene, abbiamo ancora tempo per rispettare il nostro obiettivo di varcare il passo intorno alle 10:00 prima che il vento si levi. La temperatura é scesa dalla nostra partenza, l’acqua nella mia bottiglia si sta lentamente trasformando in granita. Ci concediamo una pausa e un altro santissimo thé caldo.
Riprendiamo il cammino e il sentiero si stringe a causa della neve. A tratti si scivola ma i miei pali sono lì a tenermi su. Le condizioni meteo ci sono amiche. Fino a qualche giorno fa la neve era molto di più mentre ora é presente in quella giusta misura in grado di rendere tutto più magico senza complicare la nostra avanzata.
Ci sono sempre più persone sul sentiero, ma la Natura intorno ci sovrasta rendendo tutti gli umani intorno trascurabili, degli accessori superflui. Il sole, dietro di noi, scavalca finalemente le cime più alte e ci scalda.
Miriam, come al solito, mi precede di molto con il suo ritmo pieno d’energia. Non la vedo più davanti a me ma mi aspetterà al varco. Intanto, dietro di me, ritrovo Amit. Formiamo una cordata immaginaria. Miriam “tira me”, io dò il passo ad Amit che si ritrova nel mio ritmo di salita, e la “tiro su” con me.
Ritmo. Il ritmo del cuore accellera, il ritmo del passo cala. Come mai prima sperimento una sincronia perfetta tra mente e corpo, respiro e movimento, attenzione e azione. L’altitudine mi obbliga ad ascoltare il mio corpo e raggiungo una consapevolezza che né lo sporadico yoga, né i poco convinti tentativi di meditazione, mi avevano regalato. Sono in fase con me stessa e la catena dell’Himalaya che mi osserva, mi accompagna e guida i miei passi.
La salita é dolce, ormai non manca molto, ma, segretamente, vorrei che la discesa non arrivasse così in fretta.
Ci siamo, il terreno perde pendenza. Sulla mia destra la concentrazione di colori delle bandiere di preghiera, sulla mia sinistra Miriam che mi aspetta. Dietro di me, Amit chiude la cordata. Ce l’abbiamo fatta, abbiamo varcato il Thorong La Pass. La vista del Mustang davanti a noi ce lo conferma.
La discesa ci aspetta ma prima brindiamo con un sacro thé bollente. Alla grandezza della Natura, al giro dell’Annapurna.
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Questa storia partecipa al Blogger Contest.2018 altitudini.it
Troppo gentile sister!!!! 😘
Magico! Sei grande sister! 😊